ARRIVANO I LONGOBARDI
Con il crollo dell'impero viene a mancare un importante baluardo contro le invasioni dei popoli che vengono definiti "barbari" da Roma; anche il Valdarno diviene un territorio di passaggio e conosce il lato più tragico delle invasioni: campi devastati e raccolti bruciati, villaggi rasi al suolo, popolazioni massacrate... i pochi abitanti che riescono a salvarsi abbandonano le zone aperte e fuggono verso le colline e le montagne, dove sperano di sfuggire agli invasori che fanno ovunque terra bruciata; lo storico Procopio di Cesarea (c. 490-565) racconta di toscani costretti a nutrirsi di pane fatto con farina di ghiande (La guerra gotica, II, 20), e dove non riesce la carestia ci pensano queste privazioni e un'epidemia di peste a decimare ulteriormente la popolazione.
Gli invasori ostrogoti combattono in quella che passerà alla storia come guerra greco-gotica dal 535 al 553, quando verranno sconfitti dai Bizantini che domineranno fino al 575; nel frattempo, già dal 568, arrivano in Italia genti di origine mitteleuropea da poco convertitesi al cristianesimo ariano, conosciute come Longobardi per l'usanza degli uomini di portare una lunga barba "mai toccata dal rasoio", come ricorda Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum (I, 9); in Toscana i Longobardi si stabiliscono anche nel piviere di Gropina: il termine plebs passa allora a indicare in Italia, per contrapposizione, le genti "romane" sottomesse e obbligate a pagare tributi ai vincitori longobardi, costituiti in fare; per esteso, le due parole diventano quindi simbolo di due diverse culture e società.
Tuttavia i Longobardi non tardano ad assimilare la religione dominante: la regina Teodolinda (570-627) e suo nipote Ariperto I, re dal 653 al 661, si convertono al cattolicesimo, anche se la grande svolta si avrà con re Liutprando (712-744), che darà vita a nuove chiese e a nuove disposizioni amministrative.
Così, anche a Gropina fervono i lavori: i fedeli sono aumentati e c'è bisogno di una pieve più grande, che viene costruita inglobando quasi completamente quella paleocristiana e mantenendo forse l'antica dedicazione al principe degli apostoli, anche se i Santi più cari ai Longobardi sono Michele Arcangelo, Giorgio, e il Salvatore. La datazione della nuova pieve è incerta: potrebbe risalire sia al regno di Liutprando che a un periodo successivo, anche dopo la sconfitta longobarda del 774 ad opera dei Franchi di Carlo Magno: questo perché molti Longobardi resteranno nel piviere di Gropina e il loro gusto artistico continuerà ad influenzare a lungo il modo di sentire. In Toscana Carlo Magno si limiterà a poche variazioni nell'apparato amministrativo, permettendo così ai Longobardi di continuare le loro tradizioni. Inoltre, in campo artistico, i caratteri stilistici longobardi si estenderanno anche alle maestranze locali, che in scultura si dedicheranno quasi solo all'arredo architettonico.
Tutto questo mostra come sia difficile una datazione precisa per la seconda pieve di Gropina. I ritrovamenti del 1968-1971 hanno permesso di scoprire che si tratta di una chiesa a due navate absidate, quella di destra più corta e più stretta, collegate da almeno due grosse colonne; la zona presbiteriale è sopraelevata e un piccolo sepolcreto si trova al livello inferiore. Oggi si possono vedere nel sottosuolo dell'attuale pieve romanica sia parte delle scale della navatella che l'abside intorno ai resti della prima chiesetta paleocristiana, le colonne frammentarie longobarde e anche il sepolcreto con diverse tombe in pietra, tra cui spicca una lastra in arenaria scolpita con una croce a bassorilievo dalla tipica forma longobarda a bracci patenti, cioè allargati alle estremità, quelli laterali poco più corti dei verticali; forma non dissimile dalla famosa croce di Agilulfo (inizio del VII secolo) o dalle crocette in lamina d'oro create per essere appuntate sulle vesti o deposte nelle sepolture, come quella bellissima del sec. VII conservata al Museo di Castelvecchio a Verona. La stele con la croce apparteneva al più grande dei sepolcri, ritrovato vicino a quello che per le dimensioni avrebbe dovuto accogliere delle spoglie infantili, mentre un altro sepolcro è venuto alla luce alla destra dell'abside altomedievale. Non sappiamo chi fosse inumato nelle tre tombe: non si trattava di un perticheto, ossia di un cimitero longobardo chiamato così per le pertiche infisse a capo di ciascuna tomba che ospitava un guerriero; sulla pertica veniva infissa l'immagine di una colomba simbolo della sua anima, volta verso il luogo del campo di battaglia in cui il corpo era stato trovato.
Tra le evidenze longobarde rinvenute nel corso degli scavi la più eclatante è una testa maschile ad altorilievo che presenta elementi stilistici vicini ad opere sia scultoree che di oreficeria, come per esempio il rilievo su un sarcofago conservato nella cattedrale di Calvi (Caserta) o una brattea in lamina d'oro esposta a Monza nel 2010 alla mostra Petala Aurea, e in collezione privata: sono motivi come la lunga zazzera (parola di origine longobarda), gli occhi e la forma del naso, il tipico sorriso che sembra formare una V e che si rivolge allo spettatore dalle fondamenta della chiesa romanica, perché è stato usato come materiale di recupero per la nuova pieve; non conosciamo la sua collocazione originaria, ma anche così dove si trova il misterioso Longobardo mantiene intatto il suo fascino su chiunque incroci il suo sorriso.