CAPITELLO DELLA SCROFA
controfacciata, semipilastro destro



Con questo capitello si chiude il cantiere romanico della pieve di Gropina, secondo lo studioso Francesco Gandolfo (2003); il suo autore è un lapicida valdarnese o dell'area aretina che a Gropina ha scolpito anche i capitelli dei leoni e dei cavalieri e ha contatti con le maestranze attive alla pieve di Arezzo. La faccia principale raffigura una scrofa in atto di allattare quattro porcellini; su quella verso la parete destra un lupo azzanna la testa di un agnello che tenta la fuga, mentre sul lato opposto, verso l'entrata della chiesa, il lupo è in atto di divorare ciò che sembra una zampa dell'agnello. Le figurazioni sono molto immediate, dirette, il decorativismo quasi assente, com'è tipico di questo lapicida e come vediamo anche negli altri due capitelli attribuibili alla sua mano, dal plasticismo essenziale e a tratti, con qualche eccezione, poco rilevato e che tende a schiacciare le figure sul fondo.
Ancora temi "pagani" rivestiti di un significato cristiano: nella pieve di Gropina, come in moltissime chiese medievali, l'antichità classica riappare modificandosi e adattandosi a nuove sensazioni, nuove esigenze, ma mai estinta del tutto; talvolta quasi tale e quale, come nelle immagini del lupo e dell'agnello che richiamano alla mente le favole di Esopo e Fedro sulla violenza gratuita e ingiusta: l'agnello, benché capace di controbattere le accuse ingiustificate del lupo, viene assalito e soccombe secondo la legge del più forte. In senso cristiano, all'innocenza e onestà dell'agnello è associata la figura del Cristo,
Agnus Dei che muore da innocente per redimere il male e il peccato; le scene del capitello acquistano così un senso positivo, perché risorgendo e vincendo la morte Gesù Cristo la sconfigge dando all'uomo la certezza che il male non prevarrà.
La figurazione della faccia principale del capitello, con la scrofa che allatta i porcellini, è anch'essa di derivazione classica: il dio Tevere indica ad Enea, sbarcato nel Lazio, che nel luogo in cui vedrà una scrofa bianca allattare trenta piccoli là trent'anni dopo Ascanio fonderà Alba Longa (
Eneide, VIII, 43-48). Virgilio sapeva benissimo che la scrofa era sacra a Cerere, dea della fertilità e dei raccolti, e con questo auspicio augurava al suo eroe e soprattutto alla città nascente un futuro di prosperità. Il nuovo significato cristiano prende spunto dall'atto del nutrire: come i lavori agricoli nutrono l'uomo nelle quattro stagioni dell'anno (i quattro porcellini), così la Parola di Dio nutre e fortifica le anime. L'intero capitello si riallaccia quindi al motivo dominante dispiegato nella pieve di Gropina: la salvezza dell'anima attraverso un percorso spirituale di elevazione segnato da ostacoli e minacce, ma capace di condurre alla purificazione e alla luce.

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